LA LOCANDA DI TINTORETTO

18.07.2019

( Maria Basile) Incredibile vero? Che una delle scene più sacre di tutta la cristianità, l'ultima cena di Cristo, icona e cardine di una religiosità indiscussa e contemplata da millenni, sia stata rappresentata in una locanda. Jacopo Robusti, meglio conosciuto con il soprannome di Tintoretto, ma non perchè suo padre era un tintore di tessuti, ma perchè Tiziano Vecellio, suo maestro lo definì tintoretto quando lo cacciò dalla sua bottega dove Jacopo si era recato per imparare la nobile arte del disegno. A 500 anni esatti dalla sua nascita (1519/1594) questa geniale figura artistica, non ha avuto la gloria e la fama come meritava, forse appannato un po' da un'altra fenomenale figura artistica contemporanea come quella del Caravaggio, il quale sicuramente , ammirò l'intuizione della luce di Jacopo. Tintoretto infatti orientò le sue produzioni artistiche su due punti cardine precisi: l'anatomia di Michelangelo e il colore di Tiziano apportando,però, la sua personale impronta stilistica individuando ed esaltando il contrasto buio/luce, temi assai cari anche al Caravaggio. L'ultima cena del Tintoretto è un'opera colossale misura m.3,65x5,68 e si trova a Venezia nella chiesa di San Giorgio Maggiore fu iniziata nel 1592 e terminata esattamente due anni dopo, poco prima della morte del magnifico artista. Sembra quasi di assistere a una scena di teatro piuttosto che un'opera pittorica, raffigurata in una locanda tra gente comune, che prendeva parte a una scena biblica destinata a rimanere eterna, erano quelle le ultime manciate di anni che decretavano la fine dell'epopea rinascimentale, aprendo timidamente le porte a quella successiva del barocco che, indiscutibilmente, nei quadri di Tintoretto aveva già attecchito.